GUIDO GOZZANO

Guido Gustavo Gozzano è stato uno degli esponenti più conosciuti della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente volle emulare Gabriele D'Annunzio e il suo mito del dandy. Successivamente grazie alla scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli si avvicinò alla cerchia di poeti intimisti che, poi, sarebbero stati denominati "crepuscolari", accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì a soli 32 anni, per la tubercolosi polmonare. Alla tubercolosi, che lo afflisse fin dal 1904, è collegato un viaggio in India nel 1912, intrapreso con la speranza di trovare nel clima di quel Paese un sollievo alla sua malattia. Durante il suo soggiorno in India scrisse una serie di articoli, raccolti nel volume postumo Verso la cuna del mondo (1917). Più importanti le sue raccolte in versi: La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911). Il mondo da lui descritto è quello provinciale, piccolo-borghese, visto con amore, ma allo stesso tempo con un certo distacco ironico.

Il nonno di Guido, il dottor Carlo Gozzano, medico nella guerra di Crimea, molto amico di Massimo d'Azeglio e appassionato della letteratura romantica del suo tempo, era un borghese benestante, proprietario di terre e di varie ville ad Agliè. 
 Il padre Fausto, ingegnere, costruttore della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese, dopo la morte della prima moglie, dalla quale aveva avuto già cinque figlie sposò in seconde nozze la diciannovenne alladiese Diodata Mautino

La madre Diodata era una giovane donna con temperamento d'artista, amante del teatro e attrice dilettante, figlia del deputato Massimo Mautino, altro ricco possidente terriero, proprietario in Agliè di una vecchia e nobile casa e, nei pressi, della villa «Il Meleto», che vantava un piccolo parco racchiudente un laghetto nel cui mezzo sorgeva un isolotto: un tocco di esotismo era poi dato dal capanno, costruito di bambù intrecciati.

Guido fu il quartogenito della famiglia: nato il 19 dicembre 1883 a Torino, nella casa che i genitori possedevano in via Bertolotti. Gozzano abitò in quattro diverse case nella città natale: poco dopo la sua nascita, in un palazzo fiancheggiante quello di un altro grande torinese, da lui diversissimo, Piero Gobetti, che Guido certamente non conobbe. Frequentò la scuola elementare dei Barnabiti e poi la «Cesare Balbo», con l'aiuto, svogliato com'era, di un'insegnante privata.

Gli studi liceali furono ancora più travagliati.Le molte lettere all'amico e compagno di scuola Ettore Colla fanno comprendere i motivi delle difficoltà scolastiche di Gozzano, molto più interessato alle «monellerie» che allo studio.
Nell'ottobre del 1903 conseguì finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano; è lo stesso anno in cui, sulla rivista torinese «Il venerdì della Contessa», pubblicò i primi versi, inevitabilmente dannunziani fin dal titolo: La vergine declinante, L'esortazione, Vas voluptatis, La parabola dell'Autunno, Suprema quies e Laus Matris, oltre al racconto La passeggiata.


Pur iscritto alla Facoltà di legge, a parte la sala da ballo del circolo studentesco «Gaudeamus igitur», Gozzano preferì frequentare i corsi di letteratura, tenuti allora da Arturo Graf - il quale, oltre che nelle regolari lezioni riservate agli studenti, era impegnato anche in pubbliche conferenze tanto nelle aule universitarie, le cosiddette «sabatine», che nelle sedi della rivista «La Donna» - e la Società della cultura, un circolo sito dapprima nella Galleria Nazionale di via Roma e poi, dal 1905, traslocato nell'attuale via Cesare Battisti, a fianco di Palazzo Carignano.

Fondata nel 1898 da un gruppo di intellettuali, la Società voleva essere una biblioteca circolante che fornisse le pubblicazioni letterarie più recenti, una sala di lettura di giornali e riviste e un luogo di conferenze e di conversazione,secondo una visione positivistica della circolazione della cultura.

Gozzano all'interno della Società diventa il capo di una «matta brigata» di giovani che disturba la pace studiosa dei soci con il chiasso delle conversazioni a voce alta e l'impertinenza degli improvvisati scherzi goliardici: un'immagine di Gozzano che, per altro, sembra contrastare con quella, comunemente rilasciata, di giovane riservato, dai tratti aristocratici, molto gentile, sorridente ma che non rideva mai

Partecipare al circolo è per Gozzano occasione di conoscenze che torneranno utili tanto al suo orientamento culturale quanto alla promozione dei suoi versi.

Tuttavia matura lentamente in lui, insieme con una più seria, per quanto disincantata, posizione di sé nelle relazioni mondane, una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, favorito dalla conoscenza dei moderni poeti francesi e belgi, oltre che dal Graf delle Rime della selva e dall'influsso del Pascoli.


Nel 1906, nella Società di Cultura, conosce Amalia Guglielminetti con la quale inizia l'anno dopo una tormentata relazione: è un anno avaro di componimenti, dedito com'è al progetto di raccogliere in volume i suoi lavori, un impegno di selezione che comporta correzioni, rielaborazioni di versi.

Nasce volume La via del rifugio, raccolta di 30 poesie, tra le quali spiccano La via del rifugio, che dà il titolo alla raccolta, Le due strade e L'amica di nonna Speranza, comparsa nell'aprile 1907 con molti refusi che resero necessaria una ristampa nell'agosto successivo.

Il libro è accolto favorevolmente dalla critica, con l'eccezione di Italo Mario Angeloni, che nel quotidiano cattolico Il Momento scrive, il 7 aprile:

«L'anima del poeta [...] simboleggia veracemente l'edificio e il frutto di una coltura perversa. Un ingegno educato alle visioni più delicate è qui chiuso in un corpo forse malato, certo corrotto dal più intellettuale e raffinato edonismo, che è davvero la morfina di molti discepoli della vita moderna. È un'anima guasta che merita un impetuoso e schietto rimprovero [....].

Ecco il giovine nella sua casa paterna, dissoluzione vivente tra dissoluzione di cose inanimate; egli osserva, vede, sente nel piccolo giardino....

Scrive ancora l'Angeloni che Gozzano « è buono in fondo all'anima [...] ma è allo stremo d'ogni volontà. Scrive cose di una delicatezza indicibile: così che molti letterati gli invidierebbero dei poemetti come L'amica di Nonna Speranza; rampollano accanto alle empie parole del suo tragico spirito, buone voci di Galilea:

È dolorosa all'anima dei buoni questa torpida volontà di bene, che non ha muscoli per levarsi a volere: in fondo questo poeta è un fuorviato, non un cattivo; è un inerte morale [...]. Certo però è una personalità che va distinta dai consueti scrittorelli di rime. Condannando come empie alcune sue poesie, non posso negargli la simpatia per altre che fanno credere a un substrato quasi francescano della sua anima.»

Una nota della direzione del quotidiano del successivo 20 aprile giudica "severi ma non aspri" i giudizi dell'Angeloni, ma rincara la dose considerando La via del rifugio un libro « macchiato da tali immonde sozzure e turpitudini da doversi ritenere inutile qualsiasi ulteriore giudizio critico ». Il 29 agosto Rina Maria Pierazzi, sulla rivista « Il Caffaro », rimproverando il « critico poco sagace » di averlo giudicato « un empio », considera invece la poesia di Gozzano « una pura vena di acqua sorgiva » e il Gozzano « uno dei fiori destinati a generare il frutto: ma sia "qual è" sempre nello spirito, come è nella forma che non imita e non ricorda nessun altro, cosa di altissimo valore in questi tempi in cui "la scuola" è di moda [....] »

«Come opera d'arte, i versi di Guido Gozzano non mancano di mende e di errori. Errori d'espressione: impossibile accettare i "sapori scaltri", i "greggi sparsi a picco", la via che appare "come un nastro sottile d'alabastro". Errori di prosodia, tra i quali principalissimo l'inosservanza della regola dell'elisione. E talvolta il discorso s'affievolisce in una abbondanza troppo facilona. E talvolta lo scetticismo, generalmente discreto e simpatico, diventa brutale, estraneo alle ragioni dell'arte. [....] Ma quanta vivezza d'ingegno nelle poesie in cui l'autore non si sforza, per amore d'eccentricità, di turbare l'armonia de' suoi sentimenti! Quale intima mistura di melanconia e d'arguzia, di ricordo e di desiderio, d'elegia e di canzonetta popolare in parecchi di questi componimenti!»


«Gozzano è il poeta dei viandanti che con l'anima illuminata di ricordi e colma di rimpianti cercano nell'aspre selve della vita quella via che meni a un calmo rifugio di pace e di serenità [...] poesia di pensiero [....] nutrita da una sottil vena di pessimismo [....]. Il verso è sempre nobile e robusto e sa piegarsi elegantemente nei più diversi e vari atteggiamenti. Il poemetto L'amica di Nonna Speranza è di una grazia e di una leggiadria incomparabili: può stare alla pari, senza perder nulla nel paragone, coi dolcissimi poemetti di Francis Jammes.»

Il De Paoli non sembra cogliere l'ironia che sta alla base di quel mondo di sentimenti, che lo rende, nella sostanza se non nella forma, così lontano dal Jammes.
«Guido Gozzano è il poeta dell'ironia sentimentale: è un uomo che si diverte a guardarsi dentro nell'anima, spettatore discreto e benevolo delle proprie emozioni, un uomo che indulge alle illusioni e soffre di molte nostalgie pur non ignorando il dubbio valore delle une e delle altre, un curioso stravagante che s'interessa di tante cose, futili per la maggior parte degli altri uomini e che sa scoprirvi ciò ch'essi nemmeno sospettano, un amabile scettico che non prende sul serio che il mondo de' suoi sentimenti, la sua entità psicologica: ecco, press'a poco, che cos'è e chi è Guido Gozzano, poeta di modesta ala, forse, ma così grazioso, così delicato, così nuovo e affascinante!...


Il poeta sente con vera originalità e sa significare con impareggiabile grazia la poesia degli oggetti fuori di moda, il sorriso un po' pietoso e un po' nostalgico che c'ispirano le antiche eleganze divenute goffaggini, le impronte di un'epoca tramontata in cui pensiamo che saremmo stati forse felici


La poesia gozziniana è pervasa da una sottile ironia, una rassegnata e arguta filosofia che serpeggia nelle pagine del libro, una certa maestria di conchiudere in un breve quadro immagini ed effetti, farebbero supporre di fatto un'esperienza un po' consumata. C'è sì qualche cosa che si toglie dalle vie comuni che oggi batte la poesia, ma vi manca quella freschezza giovanile e vi traspare una certa consapevole intenzione di voler esser nuovo.


La malattia

A turbare la soddisfazione del successo, è la diagnosi di una lesione polmonare all'apice destro (aprile 1907), che lo spinge al primo di una lunga serie di viaggi nella vana speranza di ottenere, in climi più caldi e marini, una soluzione del male. In aprile va in Liguria, per pochi giorni a Ruta, poi in una località frequentata fino al 1912, San Francesco d'Albaro, alloggiando nell'Albergo San Giuliano o La Marinetta, dove frequenta il gruppo di giovani poeti che lì si danno convegno e collaborano alla rivista La Rassegna Latina, nella quale Gozzano pubblica due recensioni dedicate a Mario Vugliano e ad Amalia Guglielminetti, con la quale, insieme a una relazione durata solo un paio d'anni, inizia una corrispondenza che si manterrà per tutta la vita.
 La Genova di Gozzano è ben diversa da quella che oggi noi conosciamo, ancora non esiste il nostro Corso Italia, tra scogliere e creuze il panorama è vario e frastagliato ma Guido ama piuttosto appartarsi nelle quiete della piccola spiaggia privata.
In questa città Guido stringe amicizie con poeti e letterati, c’è una bella fotografia nella quale egli è ritratto seduto sul cofano di una vettura attorniato da alcunI eminenti rappresentanti del mondo culturale del tempo tra i quali lo scultore Eugenio Baroni e la scrittrice Flavia Steno.
Tra coloro che egli frequentò c’è anche lo scrittore e poeta Costanzo Carbone che ne tramandò un vivido ritratto:

“Guido veniva ogni anno in quell’oasi di pace a chiedere al mare un po’ di requie per i suoi polmoni malati. E invero, l’aria marina profumata dai pini gli faceva bene, lo rinvigoriva di forze e di volontà: gli restituiva il sorriso e la speranza.”


Qui scrive il componimento Alle soglie che, siglato 30 maggio 1907 e successivamente modificato, farà parte della futura raccolta I colloqui. Scrive inoltre Nell'Abbazia di S. Giuliano e Le golose, pubblicato il 28 luglio col titolo Le Signore che mangiano le paste nella Gazzetta del Popolo della Domenica.

Alla fine di giugno torna ad Agliè, poi passa l'agosto a Ceresole Reale e l'autunno ancora ad Agliè. A dicembre si ferma a Torino per stare con la Guglielminetti e poi, dal 23 dicembre, è nuovamente a San Francesco d'Albaro per trascorrervi l'inverno.

«I colloqui»

Abbandonati gli studi giuridici nel 1908 si dedica completamente alla poesia e nel 1911 pubblica il suo più importante libro, I colloqui, i cui componimenti sono divisi, secondo un progetto ben preciso, in tre sezioni: Il giovenile errore, Alle soglie, Il reduce. Il successo avuto con I colloqui valse a Gozzano una grande richiesta di collaborazione giornalistica con importanti riviste e quotidiani, come La Stampa, La Lettura, La Donna, sulle cui pagine pubblicò per tutto il 1911 sia prose che poesia.


Nel 1912, aggravatosi il suo stato di salute, il poeta decise di compiere un lungo viaggio in India per cercare climi più adatti. La crociera, durata dal 6 febbraio 1912 fino al maggio seguente, compiuta in compagnia del suo amico Garrone, non gli diede il beneficio sperato ma lo aiutò, comunque, a scrivere, con l'aiuto della fantasia e di molte letture, gli scritti in prosa dedicati al viaggio. Tuttavia, i versi scritti durante il viaggio furono distrutti per ordine di Guido, perché da lui ritenuti osceni (si salvarono soltanto Ketty e Natale sul picco d'Adamo). Le lettere dall'India uscirono su La Stampa di Torino, e furono in seguito raccolte in volume e pubblicate postume nel 1917, presso i Fratelli Treves, con il titolo Verso la cuna del mondo. Lettere dall'India (1912-1913), con prefazione di Giuseppe Antonio Borgese.

Nel marzo 1914 pubblicò su "La Stampa" alcuni frammenti del poemetto le Farfalle, detto anche Epistole entomologiche, rimasto incompiuto. Nello stesso anno raccolse nel volume I tre talismani, sei deliziose fiabe che aveva scritto per il Corriere dei Piccoli. Si dimostrò sempre interessato al teatro e alla cinematografia lavorando alla riduzione di alcune novelle da lui scritte. Nel 1916, anno della sua morte, lavorò alla sceneggiatura di un film, che non vide mai la luce, su Francesco D'Assisi. Aveva già lavorato, testimonianza del suo interesse per l'arte cinematografica, nel 1911 al soggetto e alle didascalie del documentario scientifico del regista Roberto Omegna, La vita delle farfalle.

Inizialmente venne sepolto nel cimitero del comune di Agliè; il 6 settembre 1951 la salma venne traslata ed inumata nell'adiacente chiesa di San Gaudenzio.

Poetica

«La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l'Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.»

Gozzano non assume pose da letterato e scrive le sue rime, segnate dalla tristezza e dal sentimento della morte, con ironico distacco. Alla base dei suoi versi vi è un romantico desiderio di felicità e di amore che si scontra presto con la quotidiana presenza della malattia, della delusione amorosa, della malinconia che lo porta a desiderare vite appartate e ombrose e tranquilli interni casalinghi ("le cose piccole e serene"). La sua produzione è molto apprezzata da Montale che sottolinea il suo "far cozzare l'aulico col prosastico facendo scintille". I caratteri aulici sono però sempre presentati e come trasfigurati attraverso il filtro sottile dell'ironia, una "distanza" che egli mantiene anche rispetto alla gioia delle piccole cose o della quotidianità a differenza degli altri Crepuscolari.

I temi della sua poesia

Tra i temi essenziali al mondo poetico di Gozzano vi è l'immagine della città natale, di quella sua amata Torino alla quale egli costantemente ritornava. Torino raccoglieva tutti i suoi ricordi più mesti ed era l'ambiente fisico ed umano al quale egli sentiva di partecipare in modo intimo con sentimento ed ironia. Accanto alla Torino contemporanea era assai più cara al poeta la Torino dei tempi antichi, quella Torino antica e un po' polverosa che suscitava nel poeta quegli accenti lirici carichi di nostalgia:era una Torino che aveva sperato di diventare la Capitale dell'Italia Unita.

L'ambiente canavesano e la natura

Accanto alla Torino gozzaniana viene proposto dal poeta il vicino ambiente canavesano, dove si ritrovano fondamentali immagini di contemplazione paesaggistica e dal quale scaturiranno l'estremo mito lirico incarnato dal mondo della natura, che poteva dargli, come egli dice "la sola verità buona a sapersi" e le ultime "persone" della sua poesia, "l'archenio del cardo, la selce, l'orbettino, il macaone" e infine tutte le farfalle del suo poema incompiuto che gli faranno ritrovare la sua "grande tenerezza per le cose che vivono", non ultimo il fanciullo che era "tenero e antico".

La malattia e la morte

L'aggravarsi della tisi che condurrà il poeta alla morte a soli trentadue anni, nel 1916, lascia molte impronte in tutti i suoi versi e diventa occasione lirica come in Alle soglie, dove viene registrata anche la prova della schermografia.

«Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l'ossa e gli organi grami al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami»

(da Alle soglie)


Le terre remote

Quando tra il febbraio e l'aprile del 1912 Gozzano si recò in India tenne la cronaca del suo viaggio che espresse a volte in forma appassionata ed esterna, a volte in forma intima e sofferta. Nacquero le "Lettere dall'India", che, composte tra il 1912 e il 1913, apparvero su "La Stampa" torinese del 1914 e vennero in seguito pubblicate in volume presso i Fratelli Treves, con prefazione di Borgese nel 1917. Con queste immagini di terre lontane nasceva la più alta prosa di Gozzano, pur rimanendo il suo mondo poetico, anche di fronte alle immagini suggestive di orizzonti sconosciuti e non abituali, sempre collocato all'interno dei propri determinati e sicuri confini. Gozzano, descrivendo la sua esperienza di viaggio, affronta anche il tema dell'"altro viaggio", quello della morte.

L'assenza
Un bacio. Ed è lungi. Dispare
giù in fondo, là dove si perde
la strada boschiva, che pare
un gran corridoio nel verde.

Risalgo qui dove dianzi
vestiva il bell'abito grigio:
rivedo l'uncino, i romanzi
ed ogni sottile vestigio...

Mi piego al balcone. Abbandono
la gota sopra la ringhiera.
E non sono triste. Non sono
più triste. Ritorna stasera.

E intorno declina l'estate.
E sopra un geranio vermiglio,
fremendo le ali caudate
si libra un enorme Papilio...

L'azzurro infinito del giorno
è come seta ben tesa;
ma sulla serena distesa
la luna già pensa al ritorno.

Lo stagno risplende. Si tace
la rana. Ma guizza un bagliore
d'acceso smeraldo, di brace
azzurra: il martin pescatore...

E non son triste. Ma sono
stupito se guardo il giardino...
stupito di che? non mi sono
sentito mai tanto bambino...

Stupito di che? Delle cose.
I fiori mi paiono strani:
Ci sono pur sempre le rose,
ci sono pur sempre i gerani…


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