Recensione: "Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia" di Gino Cecchettin con Marco Franzoso


Ho letto il libro in mezza giornata, è stato il mio auto regalo per la festa della donna nonostante io non senta particolarmente questa ricorrenza..  
Ho sentito il dovere di farlo anche se so bene che Giulia non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima.. L’ho fatto per Gino, per Elena e per Davide.  Giulia adesso è di tutti, non credo che sia un simbolo e comunque non il solo, penso che ognuno di noi in quel periodo abbia sperato che la situazione si evolvesse diversamente ma in fondo tutti sapevamo come sarebbe finita.
Ognuno ha la libertà di elaborare il dolore e il lutto a proprio modo e non credo che si possa giudicare.In questi mesi ho sentito cose indicibili su questa famiglia e ho cercato di difenderli, non che avessero bisogno di una paladina ma mi sembra così assurda tanta cattiveria nascosta dietro il pensiero di assurde macchinazioni sulla voglia di stare sotto le luci dei riflettori.  Mi sembra assurdo che un padre orfano della propria figlia, cosa assolutamente contro natura, debba giustificarsi davanti al mondo che ha la presunzione di parlare di un dolore che fortunatamente non conosce. Penso che Gino rivorrebbe sua figlia ed Elena sua sorella. Quando una volta di fronte ad un loro “odiatore” in carne ed ossa gli ho chiesto “tu cosa avresti fatto se al posto di Giulia ci fosse stata tua sorella? Cosa avresti fatto se nel giro di poco tempo avessi perso tua madre e tua sorella?”, non ho avuto risposta e il discorso è cambiato.
La cosa che mi ha colpito è che questo libro è un diario ma anche una lettera, Gino ci racconta la sua paura iniziale, poi il dolore, ci insegna come andare avanti nella quotidianità delle piccole cose, ricostruendosi sempre, accettando il dolore e le lacrime.  Gino ci parla di una famiglia normale, di una Giulia studiosa e disordinata, di un nucleo familiare in cui  il dolore era già entrato prepotentemente. Tanti passi di questo piccolo libro mi hanno colpito, quando Gino è scoppiato a piangere in macchina al cimitero e ha voluto che le lacrime si fermassero e si asciugassero da sole.Tra le righe di questo diario non ho mai trovato la parola “uccisa”, ma sempre e solo “portata via”, il suo assassino non viene mai nominato.  Non è ancora il momento del perdono e se un giorno questo accadrà ci vorrà ancora moltissimo tempo. Credo profondamente nella potenza delle parole e nel loro potere curativo. Penso che Gino lo abbia scritto per sopravvivere al dolore ma anche perché quello che gli è capitato possa insegnare a noi tutti ad accettare il rifiuto, il no ed andare avanti senza reagire con la violenza, senza fare prevalere l’idea del possesso.  Credo che si abbia bisogno di una educazione sentimentale profonda e  forse questo libro potrebbe essere il primo tassello.
Mi piacerebbe che questo libro fosse letto nelle scuole, dai noi genitori per cercare di educare sentimentalmente i nostri figli, dalle donne per rispecchiarsi in Giulia, nei suoi sogni, nel suo credere in un mondo buono, dagli uomini per riflettere profondamente su ciò che è veramente l’amore non solo quello che c’è in una coppia ma anche quello che lega un genitore al proprio figlio.

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