LA PITTURA OLTRE LA FOLLIA


Per la società era il matto del paese, ma divenne uno dei più importanti esponenti della pittura naïf internazionale. Oggi Antonio Ligabue è solo un grande artista 

Le sue  pennellate corpose, cariche di colore e materia creano quadri pulsanti di vita e dolore. Le opere, pittoriche e scultoree, di Antonio Ligabue sono il risultato di una vita tormentata, a tratti tragica e al limite che ha reso quest’uomo sfortunato agli occhi di tutti, prima “un matto” ma poi anche un artista eccezionale. 
Antonio Ligabue  sin da piccolissimo dovette affrontare ogni genere di difficoltà che lo minarono profondamente.
Nacque nel 1899 a Zurigo da una ragazza madre italiana che si risposò in seguito con un uomo che Antonio disprezzò sempre e  che anzi incolpò della morte per soffocamento dei fratelli e della madre stessa. Venne affidato ancora in fasce, per via delle precarie condizioni economiche, a una famiglia di svizzeri tedeschi senza figli, che però versava in una situazione altrettanto critica. Sino ai 18 anni cambiò numerose scuole e cominciò a manifestare, oltre a problemi di salute, anche un forte disagio psichico che lo condussero a ricoveri in manicomio e all’espulsione dalla Svizzera.
Si trasferì  quindi in Italia, in Emilia Romagna, la terra natale del suo patrigno che tanto aveva detestato, la Gualtieri di Bonfiglio Laccabue. Non conosceva la lingua e condusse una vita da vagabondo facendo i più svariati mestieri. Qui, nei pressi del Po, fece il bracciante e venne a contatto con gli animali che di lì a breve avrebbe cominciato a dipingere. L’arte diviene il suo modo di esprimersi e di placare il suo disagio, sempre crescente. La sua passione per la pittura si trasforma in un vero e proprio lavoro e Antonio sperimenta nuove tecniche e l’utilizzo dei colori a olio. Il suo malessere diviene arte ma non cessa di tormentarlo e continuano frequenti i ricoveri.

GLI ANIMALI DI ANTONIO LIGABUE

Sono spesso soggetti delle sue tele e nel corso della sua carriera è evidente come, da un’iniziale tecnica davvero basica e infantile, caratterizzata da colori spenti e poco incisivi e dall’assenza di prospettiva e terza dimensione, si passi negli anni di maturità a un disegno molto dettagliato con tinte accese e caratteristiche di realtà. Si racconta che per dipingere ancora meglio i soggetti infatti Ligabue studiasse con attenzione sui libri i diversi animali e addirittura andasse spesso al mattatoio per esaminarne le carni.
 Gli animali erano gli unici con i quali Toni riusciva a comunicare e essi gli facevano da tramite per comunicare con gli esseri umani. Spesso nei suoi dipinti troviamo raffigurate anche bestie feroci. Questi animali rappresentano agli occhi di Ligabue la crudeltà degli uomini. Da qui appare molto evidente il disagio interiore che quell’uomo viveva.

Chi gli permise di fare un salto di qualità nella professione di pittore fu il Presidente dell’Accademia delle Belle Arti del tempo Marino Mazzacurati che incontrò assolutamente casualmente nei boschi vicino casa. Per lui non fu facile avvicinare l’artista che mostrava diffidenza verso l’intero genere umano. Mazzacurati credeva nelle doti artistiche di Ligabue ed è lo stesso Mazzacurati che procurava a Ligabue i primi colori a olio e tutto il necessario per dipingere. Prima di allora, non potendoseli permettere, l'artista si creava i colori con ciò che la natura gli offriva, erba o fiori.

Antonio Ligabue muore nel 1965 in un ospizio di Gualtieri, luogo in cui era stato ricoverato dopo che l’emiparesi che lo aveva colpito lo aveva immobilizzato a letto.


GLI AUTORITRATTI

Antonio Ligabue è di gran lunga il pittore a essersi ritratto il maggior numero di volte, circa 120. 
Di solito le figure nei suoi quadri erano posizionate di tre quarti con una grande attenzione a dipingere minuziosamente gli abiti. Si racconta infatti che arrivato a Gualtieri ricevesse per posta dai genitori adottivi periodicamente del denaro che utilizzava per vestire in modo accurato. Questo lo fece ben volere dagli altri cittadini, almeno inizialmente. Le sue stranezze però presto spaventarono la gente che cominciò a chiamarlo “Toni al matt” (“Antonio il matto” in dialetto reggiano). Grazie a queste fototessera pittoriche immortalava sulla tela i suoi stati d’animo, ambientandoli in paesaggi che gli erano famigliari e cari: le campagne, i campi arati, la natura in genere.

LE DONNE

Ligabue fu sempre considerato misogino ma nella sua vita nutrì profondo affetto prima per la madre poi  per la matrigna. A chi gli chiedesse perché le donne non lo volevano lui rispondeva: “Sono io che non le voglio, non loro”.

In realtà ci fu un altro amore nella vita di Ligabue e fu l’amore che provò per Cesarina. Negli ultimi anni della sua vita, prima di essere colpito da paresi, Ligabue visse in una pensione a Guastalla. Qui conobbe la locandiera Cesarina. Durante i pasti, il suo sguardo vagava per il locale alla ricerca di Cesarina e, se qualcuno osava trattarla male, doveva vedersela con lui.

Il loro fu un amore fatto di gentilezze, di tenerezze e di carezze. Sognava di portarla in Svizzera ma, siccome Toni aveva sempre usato il baratto, il suo rapporto con i soldi era pessimo. Sebbene quelli fossero gli anni in cui il suo talento cominciava ad essere riconosciuto e a portare buoni frutti, la sua condizione economica non gli permise di ritornare nella terra che aveva tanto amato.

LA MALATTIA MENTALE

Ligabue fu più volte ricoverato all’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia per psicosi maniaco-depressiva. Il suo primo ricovero avvenne nel 1937, erano questi gli anni del fascismo in cui si esaltava la figura dell’uomo perfetto, dell’uomo prestante, dell’uomo ginnici e Ligabue era agli antipodi di questo modello.
Il suo ultimo ricovero avvenne nel 1945 dove fu internato per aver percosso un soldato tedesco con una bottiglia. 



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