L'IMPORTANZA DEI SOGNI

ewa lipska nasce  a Cracovia l’8 ottobre 1945, comincia a scrivere versi già negli anni del liceo edebutta come poetessa nel 1961, pubblicando sul quotidiano gazeta krakowska. La ragazza si diploma all’accademia di belle arti di cracovia. la poetessa ricorda così questo periodo di studi: “all’accademia ho seguito i corsi dei professori adam marczyński e jonasz stern, artisti eccellenti e affascinanti interlocutori, ma non sopportavo l’odore dei colori a olio e della trementina, mi interessava di più la storia dell’arte; inoltre sapevo che con l’aiuto delle parole potevo dire qualcosa di più che dipingendo i quadri. ma gli anni dell’accademia mi hanno insegnato come si “legge” un quadro, e spesso mi piace utilizzare queste letture pittoriche.

 Dal 1970 al 1980 lavora presso la prestigiosa casa editrice  wydawnictwo literackie, dove cura le collane di poesia, continuando la sua attività creativa, dal 1995 al 1997 è direttrice dell’istituto polacco di vienna. 

La poetessa e'  cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “pismo” e vicepresidente del pen club polacco, ha ricevuto molti prestigiosi premi nazionali e internazionali per la sua creazione letteraria. le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in quasi 40 lingue, è autrice di canzoni di successo.

Ewa Lipska, che è indubbiamente una delle più importanti poetesse polacche contemporanee,  appartiene al gruppo di poeti della “nowa fala”, in polacco “nuova ondata” o “nouvelle vague”, o detta anche “generazione ‘68”, vale a dire gli autori nati intorno alla metà degli anni ’40. La poetessa tuttavia rifiuta ogni appartenenza a qualsivoglia gruppo e da anni manifesta coerentemente la propria individualità creativa.

La  sua poesia bella, ironica, inquietante è il frutto di una sofisticata intelligenza, talvolta rovente, malinconica, ma sempre umana. Piotr matywiecki, poeta, critico letterario e saggista scrive: “la poesia di ewa lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace, con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (questo è anche il “metodo” poetico della szymborska)”.

Ecco un'altra opinione:  “il mondo dell’immaginazione poetica di ewa lipska è straordinariamente ricco – esso attira e affascina. sembra essere compreso tra la vita reale e la sfera del sublime. con un’ala tocca la terra, le città, i villaggi, la vita di tutti i giorni con le sue difficoltà, le sofferenze del corpo e dell’anima e con il suo grigiore; con l’altra è unito a ciò che è angelico, sognato, desiderato… il mondo reale e il mondo dell’immaginazione poetica  creano una autentica armonia”.


Ma leggiamo le parole della poetessa:

Ripeto spesso che scrivere è il più importante aneddoto della mia vita ma non parlerei di “gioia”, perché il processo creativo è difficile e a volte anche ingrato. Una piacevole occupazione è quella di prendere delle note, di scrivere degli schizzi. e’ un po’ come toccare le corde di un violino, ma poi bisogna comporre la melodia o l’intero concerto.

La poesia è una questione individuale. dipende dal lettore stesso e dalla sua preparazione intellettuale, dalla cultura letteraria, dalla sua immaginazione. A volte apprezziamo un autore, ma non lo amiamo. Ci saranno sempre quelli che preferiscono il pesce e quelli che invece sono vegetariani; a volte riusciamo a gustare la letteratura, la pittura, la musica. “non riesco a trovare alcuna differenza tra la musica e le lacrime” scrisse Fredrich Nietzsche, e in ciò risiede di sicuro questo segreto, il segreto del gustare, lo ritrovo questa disposizione spirituale nelle sale da concerto; similmente è con l’amore: sappiamo che c’è, ma non riusciamo a definirlo, per fortuna ciò non è necessario. Sappiamo soltanto che ci crescono le ali e che ci solleviamo nell’aria, il poeta cerca due, tre, qualche parola per descrivere le emozioni, il caos e l’armonia.


 Qual è la cosa più importante?


 La cosa più importante è il senso della vita, è la consapevolezza di riuscire a realizzare qualcosa dei nostri sogni. Ciascuno di noi può inventare una lampadina ed essere un edison e forse l’amore, che è al di sopra di tutto.




Quando tentiamo di entrare dentro la poesia di ewa lipska ci accorgiamo che non abbiamo in tasca la chiave da far girare in quella serratura. I suoi sono versi che sembrano minimalisti ma che in realtà sono ultronei, sfiorano il truismo per slanciarsi subito dopo. Per la lipska, l’assurdo e il derisorio sono il reddito di cittadinanza del reale, della storia e degli uomini che la abitano. Gli uomini sono i titolari di questo reddito di cittadinanza a scadenza fissa, un po’ come i titoli di stato, con delle differenze che vanno dai titoli trimestrali e quelli decennali e ventennali che beneficiano di un tasso più alto e che valgono, fin che valgono, fin quando lo stato non dichiara default. La storia ha senso proprio perché non ha un significato e perché rischia sempre di finire nel default. qui sta l’elemento del comico e del derisorio di questa poesia.


cerchiamo nervosamente

il certificato di garanzia

che mantiene la parola.


il problema è, appunto, che non c’è alcun certificato di garanzia per la parola se non la parola stessa, cioè, quanto di più effimero e transeunte ci possa essere nel creato. appena pronunciata la parola passa, invecchia e scompare. e allora, quali parole pronunciare? la risposta credo sia semplice: non pronunciare nessuna parola, oppure, pronunciare la tautologia o la filiazione delle fraseologie l’una dall’altra:


nei viaggiatori c’è il treno. battono in essi le ruote.

e nelle ruote c’è l’eternità. nell’eternità c’è la paura.

e nella paura c’è il silenzio. e nel silenzio il più silenzioso.

nei viaggiatori c’è il treno. e il continuo gioco delle ruote.


ma forse il problema non è soltanto nelle parole, da questo angolo visuale il problema rimarrebbe insoluto e insolubile; il problema potrebbe essere visto anche da un altro angolo visuale… da un altro universo…



l’esame


l’esame per il posto di re

andò a meraviglia.

si presentarono alcuni re

e un apprendista re.

fu scelto re un certo re

che doveva essere re.

ottenne punti extra per le origini

l’educazione spartana

e per il sorriso

che prese tutti alla gola.

in storia rivelò

notevoli capacità di sorvolare.

la lingua obbligatoria

risultò la sua madrelingua.

quando toccò il tema dell’arte

avvinse il cuore della commissione.

uno dei membri della commissione

avvinse un po’ troppo forte.

quello era davvero un re.

il presidente della commissione

corse a chiamare il popolo

per consegnarlo solennemente

al re.

il popolo

era rilegato

in pelle.


.

a due voci


– non sarò più tua moglie.

– non sarò più tuo marito.

– i bambini non capiranno cos’è accaduto.

– bisogna mandarli al cinema.

– i segugi dei miei pensieri hanno fiutato

la separazione.

– una grossa cicatrice dopo questo amore

resterà.

– lo seppelliremo visto che è giunto

così insensato.

– le sentinelle dei ricordi metteremo

presso la bara.

– quanto si può tenere un cadavere

in casa?

– quanto si può tenere un cadavere

nel cuore?

– faremo brevi discorsi.

– gli augureremo ogni bene.

– affinché non ritorni.

– forse ancora una volta…

– non ci troverà in casa. andiamo in tintoria.

– troppo incauti siamo stati con noi stessi.

prima dell’alluvione fuggivamo verso il fiume.

– prima della siccità fuggivamo verso il sole.

eternamente stanchi abusavamo della farmacia.

– coprivamo le orecchie quando l’orologio ci minacciava

sonando l’allarme sonando l’allarme.

– ci separavamo per ulteriori incontri

su una funivia. fissando il baratro

sceglievamo l’amore che ci occorreva.

– eravamo atterriti dalla profondità del destino.

– soli come il deserto che non spera più nel cielo.

– e soltanto del nostro amore ancora

la camicetta di seta. del nostro amore

il pettine.

– e le labbra

che impediscono l’accesso alla parola.

– la sera fa già fresco.

prendiamo i cappotti dei bambini.

– e andiamogli incontro.

il cinema è lontano.


il giorno dei vivi


nel giorno dei vivi

i morti giungono alle loro tombe

– accendono le luci al neon

e piantano i crisantemi delle antenne

sui tetti dei multipiani sepolcri

a riscaldamento centralizzato.

poi

scendono con gli ascensori

verso il quotidiano lavoro:

la morte.


mia sorella


mia sorella ancora non sa

che il mondo è condannato all’atlante.

e l’atlante è un enorme piatto eternamente affamato.

e’ un giornale di paesi-modelli ritagliati. a volte fuori moda.

che all’improvviso tutto è chiaro quando si esce dal cinema.

che le idee aderiscono perfettamente ai manichini.

che non c’è morte che serva di esempio.

che la morte è soltanto di natura.

che volendo guardare il cielo bisogna

portarlo prima alla censura.

che il più alto sapere è nella biblioteca dello spazio.

che l’amore è amore. e l’amore è un giardino.

che in questo giardino bisogna sfuggire l’autunno.

che in un giardino non si può sfuggire l’autunno.

che nessuno impedirà più la divisione delle cellule.

che la vita è finita quando comincia.

che isolda è vecchia. soffre di reumatismi.

che la storia è una grande pattumiera.

serve a far sparire le date e a spaventare i bambini.

che quando la notte per un attimo gli occhi ci adombra

si risvegliano in noi gli uccelli gridando: terra! terra!

e allora scopriamo un nuovo continente: l’uomo

che sulle palpebre la calda mano ci posa…

ma mia sorella sa già

che a come ada.


**


non mi ha salvata l’alluvione

benché giacessi già sul fondo.

non mi ha salvata l‘incendio

benché bruciassi per molti anni.

non mi hanno salvata le disgrazie

benché mi investissero treni e automobili.

non mi hanno salvata gli aerei

che sono esplosi con me nell’aria.

si sono abbattute su di me

le mura di grandi città.

non mi hanno salvata i funghi velenosi

né i precisi tiri dei plotoni d’esecuzione.

non mi ha salvata la fine del mondo

perché non ne ha avuto il tempo.

nulla mi ha salvata.

vivo.


certificato di garanzia


la nostra macchina da matrimonio

si è inceppata all’improvviso.

e benché continuiamo

a pelare i pomodori

a tagliare sottilmente l’aglio

a infarcire la serata

di parole sul sesso

e a mangiare ricordo

dopo ricordo

cerchiamo nervosamente

il certificato di garanzia

che mantiene la parola.


nessuno


sono d’accordo su questo paesaggio

che non esiste.

mio padre regge nella mano il violino.

i bambini leccano il suono.

la corrente d’aria

investe i petali delle rose.

poi la guerra. ci perdiamo di vista.

a frasi intere si celano le parole.

la stanza vuota

parcheggiata nell’oscurità

dell’edificio.

prego lasciare un biglietto

dice nessuno.


natura morta


la natura morta comincia a guastarsi.

arrugginiscono le viti dei giaggioli. dalla frutta

di chardin courbet cézanne

si leva un odore nauseante.

la tela perde la vista.

nel bicchiere una pietra di vino.

insopportabile il nero.

profetiche visioni

dei dittatori della moda:

si approssima l’epoca dei lampi.

piante terrestri anfibi e mammiferi

soffierà via il corno.

il tempo accadrà sempre più raramente.

sarà sempre più breve. sempre di meno.

dunque togli dalla borsetta il nostro amore.

e affrettati. un brandello di oltremare

annuncia che faremo in tempo a ridere.


amore


l’amore è un indovino.

prevede se stesso te e me.

e’ del popolo eletto

e usa una lingua

ad alta tensione.

nella biblioteca nazionale

macchia perfino

i libri poco letti.

in una valanga di cori

scopre un’eco

di euforia e di morte.

e quando ti raggiungerà

cerca di essere in casa.

o qualcosa del genere.

pur di incontrarvi.


sogno


il sogno mi dava quindici possibilità.

tre vie d’uscita da una situazione alquanto difficile.

in una di esse bisognava usare la chiave

che tenevo in mano.

nel sogno proiettavano un film sulla fine del mondo.

nessuno dei presenti in sala ha chiesto: e dopo?

le poesie scritte nel sogno erano molto buone.

quelle non scritte affatto – non erano peggiori.

il tempo era come doveva essere.

bisognava con tutto questo andare verso la veglia.

mi ha sorpassata un gruppo di atleti

che correvano oltre il tempo.

una vecchietta ha preso un sonnifero

ed è tornata indietro.

la veglia è sopraggiunta inattesa.

le ho comunicato soltanto il dolore alla testa

posata male sul bianco cuscino.


forse


forse ancora mi resterà

sbiadita come inutile verso

una fotografia. l’ultima separazione

il cielo con la pioggia svolgerà su tamburi.

e il giorno verrà il giorno verrà il giorno verrà

nel tuo grigio stinto vestito

nella fotografia così piccola così concisa

che è possibile stringere in una mano.

e più non so più non so più non so

se tu eri o sei o sarai

forse guardi e di rimpianto è il grigiore

forse soltanto con noncuranza gioisci

forse pensi che la vecchiaia già vecchiaia

adesso da me con impeto si affretti.

tu ti sei fermata e aspetti. io sono in cammino.

tu negli occhi aperti ti sei fermata.

ed io guardare non posso non posso.

perciò guardo mortalmente ostinata.


vetri


che pena guardare quei vetri oblunghi.

donne assonnate si tolgono il trucco dal volto.

e accanto cupi passano i viaggiatori.

dietro di loro c‘è il paesaggio. la truppa marcia.

nel paesaggio ci sono i tavoli. sui tavoli c’è il vino.

a un tavolo una ragazza. nella ragazza c’è il sorriso.

e nel sorriso c’è la tristezza. e tutto è come al cinema

in quei vetri oblunghi. nella ragazza c’è il sorriso.


fa pena guardare. donne assonnate.

nelle donne c’è l’amore. nell’amore c’è la fine.

e poi ci sono solo vetri oblunghi

e la tristezza. viaggiatori. nell’amore c’è la fine.


nei viaggiatori c’è il treno. battono in essi le ruote.

e nelle ruote c’è l’eternità. nell’eternità c’è la paura.

e nella paura c’è il silenzio. e nel silenzio il più silenzioso.

nei viaggiatori c’è il treno. e il continuo gioco delle ruote.


che pena guardare. la truppa marcia.

nel soldato c’è la pallottola. e nella pallottola c’è la morte.

e nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte.

e nel sorriso c’è la tristezza. nell’amore c’è la fine.


a un tavolo una ragazza. nella ragazza c’è il cuore.

e nel cuore c’è un soldato. nel soldato c’è la pallottola.

e piange la ragazza. passano i viaggiatori.

la fresca notte si specchia nei vetri oblunghi.


***

A volte sei bello. Un vestito cosmico.

Un guardaroba celestiale di paesaggi.

Del tuo corpo si occupano gli eruditi.

Gli studiosi degli elementi.


Qualcuno prevede sempre la tua fine.

Non hai parenti stretti. A chi

lascerai tutto questo? Pianeti ficcanaso

forse ne avrebbero voglia.


Sei eterno? L’odore

della stagione morta lo nega.

La menzogna a volte ha ragione.


Ce la farò senza di te.

In fondo non mi hai promesso nulla.


Non so nemmeno

se è la storia che ha creato noi

o se noi abbiamo creato la storia.

Se siamo solo l’eco

di un cuore altrui.





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