Recensione: Sarana, il Giglio della Steppa di Monica Benedetti

Il primo di una serie di romanzi che ci narrano come le donne  possano crescere ed evolvere conoscendo profondamente la ricchezza che ognuna di noi possiede nel profondo.

Mi chiamo Sarana Borjigin, sono mongola, sono una odegon e fiera discendente di Chinggis Khan.
Voglio raccontarti del cielo che si china sulla steppa e della steppa che lambisce le acque cristalline.
Voglio raccontarti della foresta che si piega sulla montagna e della montagna che rincorre la steppa fino al deserto.
Voglio accompagnarti nei segreti nascosti tra le pieghe di un fiore e del tempo, scalfiti sulla roccia, imbastiti nel vento, cantati sulla sabbia, raccolti negli antichi sentieri.
Voglio narrarti di quando, giovane e spensierata, ho abbracciato il timore di essere donna e ho gridato il mio posto nel mondo. E di quando il ricordo ha macellato le mie carni e ha riposto nelle mani del destino la mia fragilità. Voglio condurti per le vie misteriose dei battiti del böögiin bömbör, nel cuore pulsante della steppa, nelle danze tra i mondi e i sussurri degli spiriti.
Voglio condividere la vita e la morte. Condurti per mano al sacrificio del nome e al ritorno, alla trasformazione, all'evoluzione che attende il suo tempo ma giunge per tutti.
Voglio farti viaggiare nell'amore forte come le ali di un'aquila e leggero come i pastelli di un arcobaleno e potente come la folgore improvvisa.
Voglio prometterti il dono della rinascita, superando i limiti del presente e solcando le forme del passato.
Voglio e posso perché, ora, io sono Sarana Borjigin, Figlia del Tempo e del Ricordo, odegon della tradizione tengrista e fiera discendente di Chinggis Khan.

Questo romanzo mi ha lasciato veramente a bocca aperta, una lettura affascinante che colpisce al cuore ed emoziona profondamente, ho centellinato la lettura perché non volevo finisse troppo presto. Mi sono immersa nella pagine e mi sono ritrovata a vivere con Sara il suo viaggio iniziatico, ammetto che all'inizio non la sopportavo e Naran mi faceva una tenerezza infinita, già dopo poche pagine avevo capito che provava dei sentimenti per la cugina. Ho sofferto con i protagonisti, ho attraversato con loro la steppa e tutte le dimensioni metafisiche necessarie per diventare uno sciamano. Monica ha una enorme conoscenza in ambito di miti e mitologia mongola e ha saputo coniugare perfettamente vicende “terrene” ad altre di origine sciamanica rendendo il tutto credibile e assolutamente godibile.Le descrizioni sono minuziose e coinvolgenti.
Ho conosciuto da un' altra prospettiva la storia di Genghis Khan narrato quale capostipite del clan a cui appartengono i protagonisti della storia, Tengri il dio celeste, la verga di ferro tramite la quale prende forma la Terra.
Monica ci fa conoscere il lupo, il falco, il cervo e il cavallo tutti animali simbolicamente importanti per la cultura mongola ma anche la protagonista è un simbolo, simbolo di cambiamento, Sara come un serpente lascia dietro di sé la vecchia pelle, la seguiamo nel suo lento procedere mentre abbandona brandelli di certezze terrene per entrare in un mondo invisibile che a Naran, suo inseparabile mentore e fedele innamorato, sembrava appartenere da sempre.
I genitori di Sara, i componenti dei clan e Carla, l’amica del cuore, sono tutti personaggi positivi e portatori di stimoli senza i quali Sara non sarebbe mai diventata finalmente e veramente Sarana il giglio della steppa, capace di donare loro speranza, prosperità e guarigione. Questo bellissimo romanzo mi ha ricordato un altro libro speciale per me "E venne chiamata due cuori" di Marlon Morgan, un libro stupendo che narra ugualmente dell'importanza di ascoltare in profondità se stessi e la natura che ci circonda, non bisogna temere il cambiamento ma accettarlo anche se doloroso perché solo così possiamo evolvere e conoscere realmente la ricchezza che ciascuno di noi possiede nel suo intimo

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